Kanji: ideogrammi della lingua giapponese

ottobre 3rd, 2021 by admin

I kanji (letteralmente “caratteri cinesi) sono gli ideogrammi che i giapponesi hanno importato dalla Cina.
Essi rappresentano la parte più rilevante della scrittura mentre i due sillabari, hiragana e katakana, sono generalmente utilizzati per facilitarne la lettura oppure per completarne il suono.
I kanji sono numerosissimi, si pensi solo che sono 2000 quelli considerati fondamentali!
La conoscenza dei kanji fondamentali è essenziale per riuscire a comprendere un giornale, un libro o un documento ufficiale in lingua giapponese.

Essendo di origine cinese, ognuno di essi ha 2 tipi di lettura: kun (o giapponese ) e on (o cinese).
Un kanji che ha diversi significati, ha anche più letture kun o più letture on.
La lettura kun si usa quando il kanji si trova da solo, quella on nel caso in cui i Kanji si combinano per formare parole composte.
Per esempio: il kanji di persona 人, da solo si legge hito, combinato si legge jin oppure nin.


REGOLE BASILARI PER SCRIVERE I KANJI

  • Si parte sempre dall’alto verso il basso, poi da sinistra verso destra.
  • Se c’è un segno centrale, si traccia per primo, poi si traccia il segno in alto a sinistra e si continua sempre dall’alto verso il basso e da sinistra verso destra.
  • Attenti a non confondere il segno centrale (che si scrive per primo) con la linea verticale che attraversa tutto il kanji (che va scritta per ultima): la linea verticale è più lunga del kanji stesso.
  • Attenti a non confondere il segno centrale con qualsiasi segno che si trova al centro racchiuso nel kanji.
  • Il segno inclinato che parte da destra e va verso sinistra, si considera prioritario rispetto al tratto che da sinistra va verso destra. 

N.B. Imparare le suddette regole è utilissimo per memorizzare i kanji, per cui si consiglia ad ogni studente di cercare di rispettarle.

Di seguito, trovate un esempio del modo di tracciare un ideogramma.

Pokè, sushi…e il terzo incomodo

settembre 26th, 2021 by admin

Chi non ha pensato subito sentendo la parola Pokè ai famosi pokemon giapponesi?
E invece non si tratta di quei carinissimi personaggi tipo Pikachu, ma di un nuovo food trend che ha origini hawaiane e che presenta somiglianze con il sushi.

Il pokè è sbarcato in Europa da qualche anno, passando prima per la California.
Pokè nella lingua originale significa “tagliato a cubetti”, e difatti, la base di questo piatto è il pesce crudo ridotto a tocchetti regolari, in genere tonno, polpo o salmone.
Viene servito in una ciotola a mo’ di insalata, unendovi riso, verdure o carne e ovviamente il condimento di spezie o salse (tradizionalmente salsa di soia, olio di sesamo, peperoncino ecc.). Ognuno può scegliere gli ingredienti che preferisce e creare il proprio piatto colorato e appetitoso.

Come molti sanno, invece, il sushi ha la forma di piccoli rotoli, il cui ingrediente principale è il riso cotto con un ripieno di verdure e/o pesce, avvolto con alga nori. Le salse usate per condire sono note: soia, teriyaki, wasabi, tsuyu ecc.

Allora, quale scegliere fra i due? Io vi propongo un’alternativa, il chirashi, che si può definire un piatto pioniere del poke, ma più completo e nutriente.
Il termine chirashi significa “sushi sparpagliato” che sta a indicare un piatto a base di riso su cui sono posti vari ingredienti: una varietà di pesce crudo e frutti di mare e condimenti freddi come uova, cetrioli, avocado, sottaceti giapponese, alghe ecc.
Se si vuole aggiungere salsa di soia, si raccomanda di intingervi ciascun ingrediente separatamente e di non versarla sulla ciotola già preparata.
Differenze fra pokè e chirashi? Il pokè non contiene mai (o quasi mai) più di un tipo di pesce; nel poke il riso può essere un ingrediente, non ne è il “letto”; il pesce pokè viene di solito tagliato a cubetti mentre il chirashi in forme rettangolari.

Dunque, a voi la scelta e… buon appetito!

Il santuario shintoista

marzo 14th, 2020 by admin


Quando programmavo il mio viaggio in Giappone, ero particolarmente entusiasta all’idea di poter visitare i templi. Una volta sul posto, la mia curiosità è stata completamente appagata. L’edificio sacro che più mi è piaciuto è stato il Fushimi Inari Taisha di Kyoto, di cui ho pubblicato una foto.

In questo articolo vi parlerò dei santuari shintoisti chiamati jinja, ma prima ecco una breve premessa sull’antica religione giapponese dello shintoismo.
Il termine Shintō significa letteralmente “via degli dei” e si fonda sulla credenza che gli dei, detti kami, sono spiriti presenti in tutti i fenomeni ed elementi (viventi e non) della natura, per cui tutto il creato è una manifestazione del divino.
I santuari essendo i luoghi di venerazione dei kami, appaiono come oasi di pace immersi nella natura, a sottolineare proprio lo stretto legame dell’uomo con essa e con gli dei.

Il santuario shintoista

Già a partire dall’ingresso, troviamo un elemento distintivo: il torii, la porta (spesso di colore rosso) che stabilisce il confine fra luogo sacro e luogo profano. La regola impone di inchinarsi prima di attraversarlo.

Ai lati trovate di solito i komainu, coppia di statue rappresentanti leoni, cani o volpi, che fungono da protettori del santuario.

Subito dopo l’entrata, trovate il padiglione dell’acqua temizuya che serve a purificarsi. Con la mano prendi il mestolo per raccogliere l’acqua, la versi sulle mani per lavarle (a turno, prima destra, poi sinistra) e infine sciacqui la bocca. E’ proibito toccare il mestolo con la bocca.

L’edificio principale del santuario honden in cui è custodita la divinità kami è generalmente chiuso al pubblico, mentre i sacerdoti vi entrano solo per officiare i riti più importanti; di fronte a questo, c’è la sala di culto haiden, il posto dedicato alle preghiere e alle offerte. Giunti davanti all’altare, c’è un rituale da seguire: suonare il campanello appeso alla corda, inchinarsi due volte, battere due volte le mani, recitare una preghiera a mani giunte, inchinarsi ancora una volta.
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La traduzione professionale

febbraio 26th, 2017 by admin

traduzione professionaleIn un mondo sempre più globalizzato e dove internet gioca un ruolo chiave per la comunicazione fra persone di nazionalità e di culture diverse, il traduttore svolge un ruolo chiave, in quanto crea un vero e proprio ponte fra le varie nazioni ed assicura la corretta comunicazione fra i popoli.

Perché è necessario affidarsi a traduttori madrelingua?
Un traduttore madrelingua è una garanzia di professionalità, ovviamente sempre se si tengono in conto le abilità e le competenze del singolo. A differenza dei non madrelingua, un traduttore che traduce verso la propria lingua madre ha una certa padronanza linguistica che assicura la scorrevolezza e la grammaticalità dei testi prodotti.

Oltre alle competenze grammaticali, si aggiunge la capacità di cogliere sfumature di significato molto più profonde. Basti pensare alle espressioni idiomatiche, che difficilmente possono essere colte da chi non parla una determinata lingua come lingua madre. Se non si colgono i detti e i proverbi di una lingua e il contesto culturale in cui essi sono utilizzati, difficilmente si arriverà ad una traduzione accurata. Questo aspetto è fondamentale nell’ambito della traduzione letteraria, ma anche in altri settori della traduzione.

Nell’ambito della traduzione tecnica, il parlante madrelingua e professionista può assicurare una traduzione efficace in quanto ha una preparazione specifica e conosce i termini tecnici che meglio rendono un determinato concetto. Difficilmente un parlante non madrelingua potrà garantire, a parità di competenze, una traduzione impeccabile o d’alto livello. I testi tradotti da parlanti non madrelingua necessitano, il più delle volte, un’operazione di proofreading, che ancora una volta solo un madrelingua può garantire.
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San Valentino in Giappone

febbraio 11th, 2016 by admin

cioccolatini-san-valentino
Come si festeggia il San Valentino in Giappone? Ovviamente non come nelle altri parti del mondo.

Questa festa fu introdotta per scopi commerciali nel 1958, quando la ditta Mary’s Chocolate Company di Tokyo con una campagna pubblicitaria di successo, diede il via a una tradizione diventata popolarissima nel Sol Levante e che rappresenta una miniera d’oro per le industrie di cioccolato. Si pensi che metà del cioccolato acquistato durante l’anno in Giappone, si concentra nel mese di febbraio.

Che succede il giorno di San Valentino?
Gli innamorati non prenotano cene, non fissano appuntamenti romantici e nemmeno si scambiano regali. Sono le donne a donare cioccolata agli uomini e non solo al proprio partner, ma a tutti gli uomini del proprio entourage cioè anche agli amici, ai colleghi e ai datori di lavoro.

Ci sono tre tipi di cioccolato:
giri-choko (義理チョコ), la cui traduzione letterale è “cioccolata dell’obbligo”. E’semplice cioccolata che si compra nei negozi in confezioni normali,è economica e viene regalata a persone come i compagni di classe o i colleghi di lavoro.
tomo-choko (友チョコ), la cui traduzione letterale è “cioccolata dell’amico”, che è un regalo che si fa agli amici a cui si vuole davvero bene.
honmei-choko (本命チョコ), la cui traduzione letterale è “cioccolata del favorito”, che viene regalata alla persona che si ama. Spesso viene preparata in casa e confezionata accuratamente.

Direte..che ingiustizia per le donne!
E invece no..anche per loro arriva il momento della rivincita e …che rivincita!
Esattamente il mese successivo, il 14 marzo, è la festa del White Day, direttamente collegata a San Valentino, introdotta nel 1978 dall’associazione delle industrie dolciarie giapponesi.

In questa ricorrenza, sono gli uomini a dover regalare qualcosa alle donne e il dono dev’essere rigorosamente di colore bianco: cioccolata bianca, biscotti, dolci in genere o anche peluche, gioielli e biancheria intima, l’importante è che sia più costoso di quello ricevuto a San Valentino: si usa infatti l’espressione sanbai gaeshi (三倍返し”tre volte al ritorno”) per indicare che il regalo dell’ uomo deve avere un valore doppio o triplo di quello della donna.
Anche per gli uomini vale la distinzione dei tre tipi di cioccolata fatta per San Valentino, ma regalano molta meno giri-choko rispetto alle donne, anzi molto spesso fanno un regalo solo alla donna amata.

Giardino giapponese

gennaio 17th, 2016 by admin

giardino-giapponese-a-Roma-Ho avuto la fortuna di poterne ammirare alcuni durante il mio viaggio in Giappone, ad esempio andando al tempio di Tenryuji o al Kinkakuji, e mi hanno trasmesso un grande senso di pace e di armonia.
Ma cos’è esattamente un giardino giapponese?
Si tratta di un giardino tradizionale intimamente legato alla cultura zen, è uno scenario ideale intriso di spiritualità, in cui l’uomo assiste allo scorrere del tempo e viene ricondotto alla transitorietà della vita umana.
In un giardino vige l’equilibrio tra gli elementi, c’è asimmetria ma allo stesso tempo un certo ordine. Il tutto deve ispirarsi alla semplicità, a qualcosa di lasciato incompleto come in una poesia che lascia tante allusioni.
La scelta e la disposizione di elementi naturali come acqua, pietre e piante hanno determinati significati.
L’acqua simboleggia la vita, deve scorrere da est ad ovest, come il sorgere ed il tramontare del sole. Nello stagno nuotano le carpe (koi) che rappresentano la perseveranza.
Le rocce sono elementi sacri che rappresentano stabilità e fermezza, sono l’anello di congiunzione fra mondo inanimato e mondo animato e vivo costituito dalle piante.
La posizione è importante, la roccia deve dare l’impressione che sia lì da sempre.
Piante sempreverdi come il pino rappresentano la longevità..

In passato, i giardini nelle case di imperatori e nobili erano progettati per la ricreazione e il piacere estetico, mentre i giardini dei templi buddisti avevano come fine la contemplazione e la meditazione.

Ecco i principali stili di giardini giapponesi:

Karesansui, giardini di roccia giapponesi o giardini zen, dove si medita, dove la ghiaia bianca sostituisce acqua;
Roji, semplici, giardini rustici con case da tè, dove si svolge la cerimonia del cha no yu (tè giapponese);
Kaiyu-shiki-teien, dove il visitatore può seguire un percorso intorno ad esso per vedere paesaggi accuratamente composti;
Tsubo-Niwa, piccoli giardini situati in cortile.

Sapete che ne esistono anche in Italia?
Uno si trova a Roma, all’Istituto Giapponese di Cultura e da qualche mese è aperto al pubblico tutti i martedì, giovedì, venerdì e sabato con visite guidate gratuite della durata di 30 minuti.
Questo giardino è il primo realizzato in Italia da un architetto giapponese, Ken Nakajima, e vi compaiono tutti gli elementi basilari del giardino di stile sen’en (giardino con laghetto): il laghetto, la cascata, le rocce, le piccole isole, il ponticello di legno e la lampada di pietra, tôrô.
La veranda, tsuridono, che si affaccia sul laghetto, è uno dei migliori punti per godere la vista del giardino. Tra le piante presenti si trovano il ciliegio, il glicine, gli iris e i pini nani.
Per prenotare una visita, bisogna accedere al sito della struttura http://www.jfroma.it/
L’altro giardino è piccolo e si trova nell’atrio del MAO, Museo d’Arte Orientale di Torino.

Gli stati d’animo nello haiku

dicembre 21st, 2015 by admin

estetica haikuLeggendo un componimento haiku ci ritroviamo, molto spesso, di fronte a sentimenti e stati d’animo caratteristici i quali possono anche convergere, sovrapporsi e condensarsi nello stesso haiku. Tali moti interiori,che risuonano vibrando quasi alla stessa frequenza tra lo haijin (lo scrittore di haiku) e il lettore, costituiscono un aspetto di particolare importanza nella poetica haiku e vanno a definire quello che è conosciuto come l’estetica dello haiku.
Siamo ben lontani,dunque, dalla concezione dello haiku come la semplicistica e immediata descrizione di una scena ma, a ben vedere, c’è molto di più.
L’estetica dello haiku: il fūryū 風流 (Letteralmente: carezza del vento)
E’ di fondamentale importanza attenersi alla via del fūryū per riuscire a cogliere l’essenza profonda dello haiku.
Il fūryū rappresenta quel “cammino” di ricerca, al contempo poetica ed esistenziale, che procede per successivi gradi di affinamento, gradi che la tradizione ha identificato nel rizoku 俚俗 (“distacco”, “romitaggio”), nel tanbi 耽美 (“immersione estetica”) e nello shizen 自然 (“natura”).

Il rizoku 俚俗 rappresenta l’allontanamento dell’individuo-poeta (il fūryūjin 風流人) da tutto ciò che è mondano, superficiale e “vacuo”. Il questa fase, lo haijin 俳人 opera una più intima conoscenza di sé.
Il tanbi 耽美 è, invece, il successivo sviluppo del senso estetico da parte del poeta, conseguibile solo attraverso una sua totale fusione con la realtà circostante ed una sua attenta e sincera osservazione.
Nello shizen 自然 abbiamo l’armoniosa riscoperta del sé come presupposto dell’illuminazione (satori).

Un buon haiku ,dunque, dev’essere lo specchio del cammino intrapreso dallo haijin attraverso le tre “fasi” (rizoku 俚俗, tanbi 耽美, shizen 自然) che sorreggono l’esperienza del fūryū 風流.

Come espresso nel libro di Kiko Shuzo “Sul vento che scorre- Per una filosofia dello haiku” i corollari estetici principali del furyu vanno a formare tre coppie estetiche, per un totale di sei valori estetici fondamentali, sei elementi quindi che si collocano in coppie in contrapposizione tra loro:
– il sabi 寂び, cioè la bellezza solitaria che trova espressione in un linguaggio semplice ed immediato, contrapposto allo hanayaka 華やか (la bellezza viva e appariscente delle cose mondane);

– lo hosomi 細身, ovvero quella “sottigliezza” contemplativa indispensabile per cogliere l’essenza veridica della realtà, diametralmente opposta alla grossolanità o futoi 太い degli atteggiamenti comuni;

– l’ogosoka 厳か o “solennità” dell’esperienza sensibile, in antitesi a quel senso del ridicolo okashii おかしい che spesso sfocia nel dissacrante o nel grottesco.
Questi sei elementi vanno a formare i vertici di un ideale ottaedro.

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La poesia haiku in Italia

settembre 29th, 2015 by admin

haikuA pochi giorni dall’annuncio da parte dell’Associazione Italiana Haiku (AIH) dei vincitori della III edizione del “Premio Basho”, concorso importantissimo in Italia di poesia haiku, si avverte sempre più un forte interesse per questo tipo di poesia nata e sviluppatasi nel XVII secolo nella tradizione letteraria nipponica.
Basti dire che alla segreteria dell’AIH sono giunti oltre 1.200 componimenti haiku a testimonianza del fatto che gli haijin (scrittori di haiku) italiani prestano sempre maggiore attenzione alle tematiche che questo tipo di poesia porta con sé.
Ma come si caratterizza lo Haiku?
Si tratta di un componimento di tre versi per 17 sillabe complessive (struttura 5-7-5), dai toni semplici, senza alcun titolo, che trae ispirazione dalle immagini della natura attraverso cui il poeta fissa uno stato d’animo. L’elemento imprescindibile dello haiku è il kigo cioè una parola che si riferisce a una delle quattro stagioni dell’anno, che può essere un animale, un luogo, una pianta, ma anche il nome di un evento o una tradizione.
Il soggetto dell’haiku è spesso una scena rapida ed intensa che “fotografa” la natura e ne esprime l’emozione istantanea suscitata nel poeta. La brevità dei versi lo rende ricco di suggestioni e spinge il lettore a guardare oltre. L’essenzialità di questa forma poetica è indubbiamente legata alla filosofia Zen.

Uno tra i più grandi Maestri di questa forma d’arte è Matsuo Basho,molto conosciuto in Italia, e tra i suoi haiku più famosi spicca sicuramente questo:

Furu ike no
kawatsu tobikomu
mizu no oto.

Nel vecchio stagno
una rana si tuffa
Il rumore dell’acqua.
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Geisha, emblema del Giappone

febbraio 28th, 2015 by admin

jgeishaNell’immaginario collettivo occidentale, la figura della geisha viene associata a una cortigiana d’alto borgo. Per quelli che ancora la pensano così, è il momento di abbattere questo stereotipo!
Innanzitutto partiamo dal nome: geisha vuol dire “persona d’arte”, difatti, è una donna esperta nell’intrattenere i clienti durante pasti, banchetti o altre occasioni non con il sesso, bensì con varie arti tradizionali e con l’abilità nel conversare.
La loro arte è frutto di un duro periodo di addestramento nelle okiya (casa della geisha) che pagano a peso d’oro e dove, oltre ad apprendere le discipline del canto, della danza, dello shamisen (liuto giapponese a tre corde) e della cerimonia del tè, devono sottostare a regole morali ed estetiche molto severe, dall’abbigliamento, al trucco, allo stile di vita.
In passato, le ragazze iniziavano da bambine l’arte di essere geisha, oggi iniziano quando sono adolescenti o addirittura dopo l’università; comuque, delle tante apprendiste (chiamate maiko), in poche riescono a diventarlo veramente.

Ma perchè è stata fraintesa la professione della geisha?
Quando alla fine dell’Ottocento il Giappone si aprì all’Occidente, fin da subito la sua cultura venne travisata, in particolare la figura della geisha, tant’è vero che lo stesso Van Gogh nel 1887 dipinse “La cortigiana”, il ritratto di una donna nei tipici costumi nipponici.
Bisogna dire però che Van Gogh e altri artisti suoi contemporanei erano stati influenzati dalle ukiyo-e stampe su blocchi di legno molto popolari allora in Giappone e che raffiguravano scene dei quartieri dei divertimenti.
L’immagine erronea della Geisha andò diffondendosi ancor di più con lo sbarco dei soldati americani sulle coste giapponesi e con un filone cinematografico statunitense dell’immediato dopoguerra in cui la Geisha appariva come una donna sensuale e dalle doti lussuriose.
Niente di più lontano dalla realtà!
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I quartieri di Tokyo

agosto 28th, 2014 by admin

sensoji-templeTokyo è una delle città più popolose al mondo, una metropoli variopinta di grattacieli, ampie strade, grandi store e splendidi parchi. Ma oltre ad essere ultramoderna, ha anche un lato spirituale palesato dai santuari disseminati per la città.

Vediamo ora, brevemente, quali sono i quartieri principali di Tokyo:

Shinjuku
E’ un quartiere molto animato, che ha al suo centro una grande stazione. Il lato occidentale della stazione è caratterizzato dal distretto affaristico con vari grattacieli, fra cui quelli della sede del governo municipale, dalle cui terrazze panoramiche è possibile ammirare la città e se si è fortunati, nelle giornate limpide, riuscire a scorgere persino il monte Fuji.
Salire su queste terrazze è gratuito.
La zona ad est della stazione ha tutt’altra atmosfera poichè ospita il quartiere a luci rosse di Kabuki-cho, gestita principalmente dalla yakuza (mafia). Vi si trovano love hotel, night club, locali per adulti, bordelli e sale di pachinko.

Shibuya
Si può considerare il centro della cultura adolescenziale di Tokyo, con i suoi innumerevoli negozi di tendenza, primo su tutti, il centro commerciale Shibuya 109.
L’incrocio di Shibuya è uno degli attraversamenti pedonali più affollati al mondo; per godere di un’ottima visuale di questo flusso immane di persone, basta salire allo Starbucks che si affaccia proprio sull’incrocio.
Se si parla di Shibuya non si può non citare la statua di Hachiko che si trova all’esterno della stazione. La statua del cane simbolo di fedeltà, la cui storia ha ispirato anche un film, è facile da individuare dato che c’è sempre gente in fila per farsi fotografare con Hachiko.

Harajuku
Situato non lontano da Shibuya, è un vivace quartiere regno della moda con numerosi negozi lungo le strade principali e nei vicoli. Da segnalare fra le strade, la colorata Takeshita-dori e la Omote-sando-dori ombreggiata dai tigli, paragonabile a Champs Elysees di Parigi per le boutique di lusso.
L’attrazione maggiore di Harajuku è il santuario shintoista Meiji jingu, che vanta i più grandi torii (porte d’accesso al santuario) del paese, fabbricati con legno di cipresso giapponese.

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