Quando programmavo il mio viaggio in Giappone, ero particolarmente entusiasta all’idea di poter visitare i templi. Una volta sul posto, la mia curiosità è stata completamente appagata. L’edificio sacro che più mi è piaciuto è stato il Fushimi Inari Taisha di Kyoto, di cui ho pubblicato una foto.

In questo articolo vi parlerò dei santuari shintoisti chiamati jinja, ma prima ecco una breve premessa sull’antica religione giapponese dello shintoismo.
Il termine Shintō significa letteralmente “via degli dei” e si fonda sulla credenza che gli dei, detti kami, sono spiriti presenti in tutti i fenomeni ed elementi (viventi e non) della natura, per cui tutto il creato è una manifestazione del divino.
I santuari essendo i luoghi di venerazione dei kami, appaiono come oasi di pace immersi nella natura, a sottolineare proprio lo stretto legame dell’uomo con essa e con gli dei.

Il santuario shintoista

Già a partire dall’ingresso, troviamo un elemento distintivo: il torii, la porta (spesso di colore rosso) che stabilisce il confine fra luogo sacro e luogo profano. La regola impone di inchinarsi prima di attraversarlo.

Ai lati trovate di solito i komainu, coppia di statue rappresentanti leoni, cani o volpi, che fungono da protettori del santuario.

Subito dopo l’entrata, trovate il padiglione dell’acqua temizuya che serve a purificarsi. Con la mano prendi il mestolo per raccogliere l’acqua, la versi sulle mani per lavarle (a turno, prima destra, poi sinistra) e infine sciacqui la bocca. E’ proibito toccare il mestolo con la bocca.

L’edificio principale del santuario honden in cui è custodita la divinità kami è generalmente chiuso al pubblico, mentre i sacerdoti vi entrano solo per officiare i riti più importanti; di fronte a questo, c’è la sala di culto haiden, il posto dedicato alle preghiere e alle offerte. Giunti davanti all’altare, c’è un rituale da seguire: suonare il campanello appeso alla corda, inchinarsi due volte, battere due volte le mani, recitare una preghiera a mani giunte, inchinarsi ancora una volta.
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